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Emozioni …come gestirle?

Elena Dacrema 4 Novembre 2020 Tag: , , , Blog
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"L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro, ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi."Khalil Gibran

Le emozioni – paura, rabbia, piacere, dolore – sono il nostro bagaglio più antico, la nostra parte più ancestrale. Proprio per questo motivo scattano come reazioni anche quando noi non lo vorremmo.

Preferiremmo essere in forma e sereni e poter scegliere cosa sentire e quando, invece non è così.

Le emozioni servivano ai nostri antenati per garantirsi la sopravvivenza, per attaccare il nemico o fuggire. Invece noi, uomini evoluti, quando ne sentiamo l’intensità ci spaventiamo e ci sentiamo vulnerabili anche perché certe reazioni come eccessiva rabbia e tristezza sono poco accettate socialmente.

Inoltre le emozioni che più facilmente reprimiamo sono quelle che, quando eravamo piccoli, gli adulti tolleravano meno da noi o che loro stessi erano difficilmente in grado di gestire.

Cosa facciamo allora?

Impariamo, così, a tenere le emozioni “sotto coperta”, a soffocare le emozioni che valutiamo come indesiderabili ed esprimiamo solo quelle accettabili.

Avete presente quando qualcuno ha avuto un problema e gli si chiede cosa fa per venirne fuori? La risposta tipica è “mi tengo occupato”. Questo è un meccanismo di difesa utile nel breve periodo ma poi diventa un meccanismo automatico che ci rende difficile arrivare a ciò che sentiamo veramente.

Le emozioni invece ci parlano di chi siamo e di quello che veramente vogliamo.

Cosa dovremmo fare?

“Ognuno di noi” recita un detto cinese, “va a dormire ogni notte con una tigre accanto. Non puoi sapere se questa al risveglio vorrà leccarti o vorrà sbranarti.”

La tigre siamo noi stessi con i nostri limiti e le nostre emozioni e l’unico modo per vivere bene è renderci amica la nostra tigre interiore.

In altre parole, il consiglio è di gestire le nostre emozioni concedendo loro uno spazio ed un tempo.

Se sono arrabbiato devo evitare di lasciar libera la rabbia socializzandola con tutti o aggredendo chi mi sta attorno, piuttosto dovrò dedicare a lei un tempo quotidiano in cui poterla ascoltare e scriverla.

Se sono triste devo evitare di socializzare il dolore e lasciarmi andare ad esso disperandomi, piuttosto dovrò dedicare uno spazio quotidiano al mio dolore.

Più cerchiamo di scacciare via un’emozione e più ci rincorrerà prepotentemente, quello che invece dovremmo fare è di ricercarla volontariamente.

Cantava saggiamente Vasco Rossi in una sua canzone che recitava:

Ho fatto un patto sai con le mie emozioni…
le lascio vivere e loro non mi fanno fuori!

Bibliografia e fonti

Nardone, G. (2003). Cavalcare la propria tigre. Ponte alle grazie

Nardone, G. (2019). Emozioni: istruzioni per l’uso. Ponte alle grazie

Rossi, V. da Manifesto futurista della nuova umanità, n. 2 Vivere o niente

Irene SmitAstrid Van Der Hulst  (2017). A Book That Takes Its Time: An Unhurried Adventure in Creative Mindfulness. Workman Publishing. New York.

 

 

 

 

 

Coronavirus: come affrontare la fase 2 dal punto di vista psicologico?

Elena Dacrema 2 Maggio 2020 Tag: , , , Blog
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La vita non ha un senso: è desiderio. Il desiderio è il tema della vita.
(Charlie Chaplin)

Interrogarsi su come affrontare la fase 2 non è una domanda semplice: è qualcosa che non abbiamo ancora sperimentato e difficile da anticipare al 100%.

I divieti restano ma alcune misure vengono allentate.

Dal punto di vista psicologico, l’ipotesi è che possano essere previsti due diversi effetti nelle persone, due polarizzazioni opposte.

Ci sarà chi sperimenterà ancora ansia e angoscia, avrà paura di contaminarsi e probabilmente manterrà un maggior distacco dagli altri e una certa diffidenza. Il rischio in questo caso è di un eccesso di controllo che porta alla perdita di controllo. Oltre alle misure prescritte da fonti certe (es. OMS, Istituto Superiore di Sanità) quali l’indossare mascherine, lavarsi spesso le mani, pulire le superfici, stare a distanza di almeno un metro etc..non è possibile controllare totalmente questo nemico invisibile.

Dall’altro lato ci sarà il problema del “piacere” non dosato: ad esempio il sentirsi autorizzati ad agire in modo sconsiderato, come se il pericolo fosse finito. C’è il pericolo di lasciare libero il desiderio di fare “come se il Covid-19 non fosse mai esistito”.

Il virus purtroppo c’è ancora e dobbiamo imparare a conviverci.

Dobbiamo quindi imparare a gestire il nostro desiderio e apprezzare le piccole possibilità che ci vengono concesse: le passeggiate, vedere i “congiunti”, mantenendo comunque le distanze.

Abbiamo la possibilità di rivedere persone care che al tempo precedente al Covid-19 davamo per scontate.

In un certo senso dobbiamo applicare lo stratagemma del “Partire dopo per arrivare prima” cioè riprendere alcune libertà con gradualità, a piccoli passi.

Dobbiamo imparare il piacere dell’attesa.

E’ meglio un uovo oggi o una gallina domani?

Se riusciamo a vivere queste nuove concessioni senza strafare potremo poi godere di una rinnovata libertà. Se ci lasciamo andare permettendo al desiderio di galoppare a briglia sciolta non raggiungeremo l’obiettivo della soluzione al problema.

Un pò come il già citato esperimento svolto alla Stanford University degli anni 70. Veniva dato un cioccolatino o una caramella a dei bambini che rispondevano correttamente a delle domande, come premio. Veniva a loro detto che se fossero riusciti ad aspettare dieci minuti prima di mangiarlo gliene sarebbe stato regalato un altro.

Si è visto che – nel tempo – i bambini che erano stati in grado di aspettare erano riusciti a raggiungere con più facilità i loro obiettivi sia professionali che personali.

Anche noi in questa fase dobbiamo prendere spunto da questo esperimento ed aspettare a fare tutto ciò che vogliamo.

Un consiglio, in questo momento di impedimento al desiderio, è di utilizzare appieno la nostra fantasia: prima di andare a dormire pensare ai luoghi e alle persone a noi care. Immaginare quanto sarà bello in futuro ritornare in quei luoghi e riabbracciare quelle persone. Viaggiare con la fantasia e visualizzare anche progetti futuri da realizzare, luoghi nuovi da esplorare… il desiderio è un motore positivo dell’anima se ben sfruttato!

Fonti scientifiche per il Coronavirus:

http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus

https://www.iss.it/

Il coronavirus e il piacere di godere dell’attesa

Elena Dacrema 27 Marzo 2020 Tag: , , Blog
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Poco più di un mese fa eravamo presi dalle nostre vite frenetiche: lavoro, famiglia, pianificazione del weekend.

Avevamo tutto a disposizione e probabilmente non lo sapevamo apprezzare.

Ad oggi invece c’è chi – causa Covid 19- sta lottando con un nemico invisibile o chi ha perso una persona cara.

I più fortunati, che non hanno a che fare con questi problemi, vivono una nuova routine all’interno delle proprie case, senza contatti fisici con amici o parenti, lavorando secondo modalità diverse e più solitarie e costretti ad aspettare che la situazione cambi.

Uno dei vantaggi che però possiamo constatare in questo momento è proprio il piacere dell’attesa.

Quando potremo riabbracciare i nostri familiari? Quando potremo tornare a mangiare una pizza con il nostro partner (o la nostra partner) con spensieratezza?

L’elenco potrebbe proseguire all’infinito.

Come dice Harold Schweizer, professore di Inglese alla Bucknell University, le cose acquistano il loro valore proprio quando tu devi aspettare per ottenerle.

L’anticipazione di un piacere è già di per sé piacere e produce dopamina che ci fa sentire eccitati e felici.

Pensiamo ad una vacanza: spesso siamo più felici quando ci pregustiamo il piacere della vacanza che durante la vacanza stessa.

In questo periodo quindi possiamo riscoprire questo aspetto, della gratificazione rimandata!

In uno studio del 1972 svolto a Stanford, veniva dato un marshmallow a dei bambini che avrebbero potuto mangiarlo, ma se avessero aspettato 15 minuti, avrebbero ottenuto due marshmallow. Meno di un terzo dei bambini aveva trovato la pazienza di aspettare questi 15 minuti per ottenere il secondo marshmallow . Anni dopo però si è visto che proprio i bambini che erano stati in grado di aspettare avevano ottenuto buoni risultati su tutti i fronti: erano più capaci a scuola, più sani, più felici.

Quando otteniamo subito quello che vogliamo rischiamo invece di diventare preda dell’insoddisfazione.

Quindi consoliamoci, non possiamo fare ciò che vogliamo ora ma, in un secondo momento, tutto sarà sicuramente più soddisfacente.

Bibliografia

Coronavirus: come affrontarlo?

Elena Dacrema 2 Marzo 2020 Tag: , , , , Blog
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Il Coronavirus e l’angoscia

Come gestirlo? Come aiutare i bambini a comprendere questo fenomeno?

Il  celebre filosofo Umberto Galimberti, durante un’intervista su La7 il 25/02/2020, ci illustra come mai il Coronavirus ci spaventa così tanto.

Nei giorni scorsi questo allarme ha visto come protagonisti comportamenti totalmente irrazionali:  il “razziare” supermercati, procurarsi disinfettanti e mascherine tanto da lasciarne vuoti gli scaffali.

Nello specifico Galimberti ci spiega come la parola paura davanti a questo fenomeno sia impropria: il Coronavirus ci angoscia, non ci fa paura.

Vediamo dunque di definire questi termini e capire meglio.

La paura è un’emozione primaria che si attiva per difenderci da un pericolo reale o presunto.

La paura, davanti al pericolo, attiva il nostro organismo per difenderci stimolando reazioni di attacco o di fuga.

Nel caso del Coronavirus non si può parlare di paura perché la paura è legata ad un oggetto determinato. Bisogna parlare di angoscia[1] .

A differenza della paura, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso, è legata alla sfera del possibile: il Coronavirus è infatti qualcosa di indeterminato, è un nemico invisibile.

Chi può contagiarci? Non lo sappiamo..

Da dove viene il coronavirus? Non lo sappiamo.

Rimaniamo nell’ambito dell’indeterminatezza.

Quindi siamo a davanti ad un bel dilemma, come gestirlo?

In questi giorni siamo stati bombardati dai media che riportavano in continuazione il numero delle persone positive, dei ricoverati, dei decessi. Si parlava di zone rosse (dove il rosso richiama immediatamente l’idea del pericolo e dell’allarme), di militari e città deserte.

Dal punto di vista psicologico la prima indicazione è di evitare la ricerca compulsiva di informazioni: più si cercano informazioni e più si creerà confusione e e angoscia.

Cerchiamo solo poche notizie e da fonti affidabili (esempio, Ministero della Salute, Istituto Superiore di Sanità, OMS).

Se da un lato è necessario tutelarsi e tutelare gli altri mettendo in atto le dovute precauzioni, ad esempio evitando posti affollati, evitiamo di esasperare la situazione!

Usiamo il buon senso: evitiamo di saccheggiare i supermercati e di mettere in atto comportamenti irrazionali.

Cerchiamo in famiglia di evitare di parlare continuamente di Coronavirus e impegnarci in attività che ci piacciono (leggere, attività motoria in casa, cucinare…)

Come aiutare i bambini?

Bisogna evitare di lasciare soli i bambini davanti ai social network e alla tv e utilizzare il tempo per parlare con loro. E’ necessario spiegare loro con chiarezza quello che sta accadendo in modo che possano elaborarlo.

Attingendo nuovamente ad alcuni concetti esposti da Galimberti, ai bambini dobbiamo insegnare che il “male” esiste, che la vita ci pone degli ostacoli ma possono essere superati con il nostro impegno.

Purtroppo la vita è anche incertezza, è camminare in equilibrio sulla corda tesa e questo va necessariamente insegnato ai bambini.

[1] Angoscia è una parola filosofica introdotta da Kierkegaard per designare la condizione dell’uomo nel mondo.

Fonti:

  • https://www.la7.it/tagada/video/coronavirus-umberto-galimberti-non-si-deve-parlare-di-paura-ma-di-angoscia-25-02-2020-309384
  • Video diffuso da Feltrinelli Editore : Coronavirus, capire e reagire alla paura: il video di Galimberti. Registrato a Milano il 28 febbraio 2020.

 

 

La scuola ai tempi del registro elettronico

Elena Dacrema 18 Febbraio 2019 Tag: , Blog
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Cambiamenti positivi dal punto di vista tecnologico ma relazioni sempre più difficili.

Oggi il contesto scuola è molto diverso da com’era prima, considerando anche solo dieci o vent’anni fa.

Questo dipende da alcuni cambiamenti sociali e dal rapporto genitori-figli, anch’esso mutato.

Lo studente non vede più il docente come autorità (una volta il maestro era un’istituzione da non toccare).

Anche tra genitori e figli spesso si riscontrano delle difficoltà dovute ad una relazione basata su tanto affetto ma poche regole.


Il titolo del presente articolo è volutamente ironico. Fa luce su un aspetto molto attuale che non è altro che lo specchio di ciò che sta accadendo intorno a noi.

Nello specifico, soprattutto gli alunni della scuola secondaria di primo e secondo grado beneficiano dell’utilizzo del registro elettronico. Questo è uno strumento in se e per sé positivo ma il cui uso diventa micidiale se mal gestito.

Che cosa accade spesso? Che i ragazzi – che hanno meno voglia di studiare – non sappiano quali compiti debbano svolgere per il giorno dopo né quali verifiche sostenere perché non guardano quotidianamente il registro. I genitori invece, soprattutto quelli con uno stile più iperprotettivo, accedono a questo strumento in modo assiduo e talvolta esagerato.

Se i genitori vengono a conoscenza delle verifiche/interrogazioni che i figli devono sostenere, diventano più apprensivi allorquando non vedono il proprio figlio studiare e in tal modo si crea spesso un circolo vizioso in cui il figlio è deresponsabilizzato mentre il genitore interviene costantemente sul versante scolastico.

Alcuni genitori, una volta ravveduti, affermano che si stava meglio “una volta”, quando il registro elettronico era ancora fantascienza: le udienze erano il momento della resa dei conti. Il figlio aveva il compito di gestirsi da sé – per quanto riguardava la scuola – e nel caso di un cattivo rendimento veniva bocciato.


L’esempio del registro elettronico è per comunicarvi che non sempre un eccesso di controllo porta a risultati positivi, anzi il più delle volte porta alla perdita di controllo.

Uno stile contemporaneamente iperprotettivo e controllante non fa in modo che i ragazzi sperimentino le cadute necessarie per poi risollevarsi con le proprie risorse.

Diventa quindi importante aiutare i genitori ad aiutare i propri figli, non sostituendosi a questi ultimi ma dando a loro la fiducia necessaria per percorrere la propria strada accrescendo via via le proprie capacità.

Bibliografia:

“Aiutare i genitori ad aiutare i figli. Problemi e soluzioni per il ciclo di vita” G. Nardone e collaboratori.

 


La Dott.ssa Elena Dacrema  è psicologa e psicoterapeuta e si occupa delle dinamiche che intercorrono tra genitori e figli (problemi scolastici, metodo di studio, difficoltà di relazione in famiglia e fuori).

E’ terapeuta ufficiale del CENTRO DI TERAPIA STRATEGICA DI AREZZO  diretto dal prof. Giorgio Nardone.